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Calcestruzzo allo stato fresco

Lavorabilità

La resistenza finale di un calcestruzzo è influenzata dal grado di costipazione raggiunto durante la messa in opera. È della massima importanza, pertanto, che la consistenza dell’impasto sia tale da essere trasportato e dettato con sufficiente facilità e senza che avvengano fenomeni di segregazione. Un calcestruzzo che soddisfa i requisiti di cui sopra è detto lavorabile.

Con il termine lavorabilità s’indica, pertanto, l’attitudine di una miscela di aggregati, legante, acqua ed eventualmente additivi a essere sottoposta, senza inconvenienti e a un costo ragionevole, a determinate operazioni di preparazione, trasporto, posa in opera e finitura. La lavorabilità non rappresenta una proprietà intrinseca dell’impasto fresco perché uno stesso calcestruzzo è considerato di lavorabilità adeguata, o meno, in relazione ai sistemi di lavorazione, alla forma e dimensioni del manufatto, alla densità e disposizione delle armature, ai mezzi di compattazione disponibili, alla situazione ambientale.

La lavorabilità coinvolge tre aspetti del comportamento del calcestruzzo fresco, ossia la stabilità (nel senso di non segregabilità), la mobilità e l’attitudine alla compattazione vista sotto il profilo del lavoro che è necessario spendere per vincere l’attrito interno tra le particelle.

L’attitudine alla compattazione è importante per agevolare, per effetto della vibrazione, la fuoriuscita dell’aria intrappolata nel calcestruzzo fresco e assicurare la massima densità possibile del materiale indurito, oltre che il massimo contatto tra armatura e calcestruzzo. A parità di sistema vibrante, in un calcestruzzo molto lavorabile, l’aria intrappolata è facilmente espulsa, mentre in un calcestruzzo poco lavorabile possono permanere macrovuoti di aria (vespai) che penalizzano la resistenza meccanica, l’aderenza ferro-calcestruzzo e la protezione dalla corrosione delle armature metalliche.

La lavorabilità del calcestruzzo dipende dal contenuto di acqua, dal rapporto alc e da quello aggregato/cemento (cioè dal dosaggio di cemento).

Il contenuto di acqua comprende l’acqua d’impasto più quella eventualmente contenuta dall’aggregato ed eccedente l’umidità nella condizione di saturo a superficie asciutta. Nel caso che l’aggregato sia insaturo o asciutto, occorre sottrarre all’acqua d’impasto quella necessaria a saturare i pori dell’aggregato.

Perdita di lavorabilità

Il calcestruzzo, subito dopo la miscelazione, perde progressivamente la sua mobilità iniziale. Pertanto, una misura della lavorabilità, intesa come misura della mobilità, dovrebbe tener conto del tempo che intercorre tra il mescolamento e la posa in opera, giacché è soprattutto in questa seconda fase che interessa la lavorabilità del calcestruzzo.

Le cause della perdita di lavorabilità sono l’assorbimento di acqua da parte di aggregati insaturi, l’evaporazione e le reazioni dell’acqua stessa con il cemento. I fattori che influenzano la perdita di lavorabilità sono il tempo, la temperatura e le modalità di trasporto del calcestruzzo, mentre influenze meno importanti, anche se non trascurabili, sono esercitate dal tipo di cemento, dal rapporto aggregati/cemento, dalla presenza di additivi.

Misura della lavorabilità

Nessun metodo permette di misurare direttamente la lavorabilità. Esistono invece diversi metodi, ciascuno dei quali ne mette in evidenza un aspetto.
Le informazioni di maggiore utilità pratica si ricavano con il cono di Abrams (slump), il consistometro Vee-Bee, il consistometro di Walz e con la tavola a scosse.

La lavorabilità e l’affidabilità

Se si eccettuano alcune particolari tipologie strutturali, per le quali la tecnica esecutiva adottata (vibrofinitrice o casseri rampanti) richiede una particolare classe di consistenza (terra umida con la vibrofinitrice e plastica con i casseri rampanti), per la quasi totalità delle opere in calcestruzzo, gettato entro casseri, la lavorabilità prescelta è compresa tra la classe di consistenza semifluida (S3) e quella superfluida (S5). In generale, maggiore è la densità dei ferri di armatura più elevata deve essere la fluidità del calcestruzzo.

Un calcestruzzo più lavorabile è anche meno dipendente dall’efficacia della compattazione in opera, ossia dalla qualità della manodopera sul cantiere: in sostanza, esso è più affidabile. Se si confrontano due calcestruzzi di pari composizione (in particolare di pari a/c e tipo di cemento), ma differenti solo per la classe di consistenza (SS e S2), per la presenza o meno di un additivo superfluidificante, si otterrà la stessa resistenza meccanica (in relazione allo stesso rapporto alc e allo stesso cemento) purché i due calcestruzzi siano vibrati per un tempo sufficientemente lungo, così da ottenere lo stesso grado di compattazione.

Segregazione

Non esistono metodi di misura della segregazione degli aggregati, ossia della separazione dei diversi costituenti solidi la miscela che consentano di valutare l’entità del fenomeno in maniera quantitativa. I metodi disponibili sono laboriosi e forniscono solo indicazioni qualitative. Per esempio, la tendenza alla segregazione può essere valutata compattando un provino di calcestruzzo in maniera standardizzata e misurando la variazione del centro di gravità a causa della segregazione, oppure spaccando il provino in due porzioni eguali – una superiore e l’altra inferiore – e misurare il contenuto di aggregati grossi in ciascuna delle due frazioni.

Bleeding

Al termine della posa in opera, prima dell’inizio della presa, la sospensione delle particelle di cemento non è stabile, ma sedimenta con segregazione di parte dell’acqua d’impasto, che tende ad affiorare alla superficie. Per i calcestruzzi la velocità di sedimentazione è piccola, dell’ordine di alcune decine di milionesimi di cm/sec e la durata del processo è piuttosto breve (90-120 minuti). Di conseguenza il fenomeno sarebbe osservabile con difficoltà se sulla superficie orizzontale dell’impasto non si formasse uno strato di acqua. La sedimentazione, vista sotto l’aspetto dell’acqua che affiora in superficie, è descritta con il termine di bleeding, dall’inglese to bleed: essudare.

Quantunque il fenomeno sia di entità molto modesta, tuttavia dà luogo a numerosi difetti, per la gran parte invisibili dall’esterno, ma di rilevante importanza nei riguardi delle proprietà dell’impasto indurito.

Nella posa in opera in una forma profonda, se il calcestruzzo presenta un bleeding copioso, gli strati superiori si arricchiscono in acqua e, a causa dell’aumento del rapporto a/c, presenteranno caratteristiche inferiori rispetto alle zone a maggiore profondità. Inoltre, parte dell’acqua può essere bloccata sotto la superficie di grosse particelle di aggregati, in particolare se appiattite, o sotto le armature, creando zone di scarsa coesione.

L’acqua di bleeding è, pur tuttavia, qualche volta di vantaggio. L’acqua di bleeding nella finitura di una pavimentazione è utile a lubrificare gli utensili e a impedire che si crei la situazione di tensione idrostatica tipica del ritiro plastico. Tuttavia, se il bleeding è eccessivo, il trattamento di finitura provoca il richiamo in superficie di un sottile strato di sospensione finissima con scadimento delle caratteristiche superficiali.

Le paste di cemento molto fluide (con un rapporto alc compreso tra 1 e 2), dette anche boiacche, sono impiegate per il riempimento di vuoti all’interno di un sistema da consolidare. Per esempio, s’inietta una boiacca di cemento per il consolidamento di una muratura a sacco in edilizia o di una roccia fessurata in geotecnica, o per il riempimento delle guaine di una struttura precompressa al fine di proteggere dalla corrosione i ferri post-tesi. Il bleeding, in queste applicazioni, comporta un incompleto riempimento del sistema da consolidare o da proteggere. Infatti, a indurimento avvenuto, l’acqua di bleeding rappresenta una porzione destinata a rimanere vuota per effetto della successiva evaporazione o della migrazione dell’acqua stessa nelle zone adiacenti porose.

Fermo restando che la sospensione cementizia da iniettare deve essere fluida, per ridurre o eliminare il bleeding e i difetti che ne derivano, si può agire su:

  • la finezza del cemento;
  • le aggiunte minerali;
  • gli additivi chimici.

L’aumento della finezza del cemento comporta un duplice benefico effetto nella riduzione del bleeding: innanzi tutto la diminuzione della dimensione particellare comporta una minore velocità di sedimentazione come si evince dalla legge di Stokes. In secondo luogo, la maggiore area superficiale specifica del cemento, conseguente alla sua maggiore finezza, comporta una reazione più rapida con l’acqua e, quindi, un più rapido aumento della viscosità del sistema. Si riduce, pertanto, il tempo disponibile per la sedimentazione delle particelle solide e l’affioramento dell’acqua: entrambi i fenomeni, infatti, cessano con l’inizio della presa.

 

In aggiunta alla riduzione del bleeding, una finezza più spinta presenta anche il vantaggio di una più facile penetrazione dei micro-vuoti esistenti nel sistema da consolidare. Tutto ciò ha portato allo sviluppo dei cosiddetti microcementi, i quali presentano la quasi totalità delle particelle di cemento sotto 10 µm, contro una dimensione massima di 80-100 µm per i cementi normali.

 

I cementi microfini devono essere impiegati con elevati rapporti a/c (circa 1) perché la loro elevata reattività, conseguente della grande superficie esposta all’acqua, provoca un irrigidimento eccessivo con gli usuali rapporti alc.

Le aggiunte minerali impiegate per la riduzione del bleeding nelle sospensioni cementizie, sono di tre tipi: bentonite, silica fume e silice colloidale. In tutti i casi si tratta di prodotti inorganici a elevatissima area superficiale specifica in grado di sedimentare molto lentamente.

Gli additivi chimici possono ridurre il fenomeno del bleeding attraverso meccanismi diversi:

  • riducendo l’acqua necessaria, con i superfluidificanti, per ottenere una determinata fluidità;
  • con gli aeranti, provocando la formazione di microbolle di aria che, legandosi ai granuli di cemento, ne riducono la sedimentazione;
  • con gli acceleranti di presa;
  • con gli additivi addensanti (a base di metil-cellulosa) che aumentano la viscosità del mezzo fluido (acqua), riducendo la sedimentazione delle particelle solide.

Ritiro plastico

È così denominato il ritiro che si manifesta entro le prime ore dopo la posa in opera, prima del completamento della presa, quando la miscela è ancora plastica e si differenzia dal ritiro idraulico che si manifesta invece nella pasta indurita.

Il ritiro plastico è dovuto alla perdita di acqua, principalmente per evaporazione, ma anche per assorbimento da parte delle casseforme e degli aggregati porosi non s.s.a. Può giungere a provocare fessurazioni superficiali che si sviluppano, di preferenza, in corrispondenza di elementi che ostacolano un riassetto uniforme dell’impasto, come per esempio armature o aggregati di dimensioni più grandi.

Il ritiro plastico può essere evitato se si impedisce l’evaporazione dell’acqua. È evidente che il fenomeno acquista particolare rilevanza nella stagione estiva e la sua entità è controllata dalla temperatura e umidità dell’aria, dalla temperatura del calcestruzzo e dalla velocità del vento.

La velocità di evaporazione dell’acqua dalla superficie del getto può essere diminuita ricorrendo ai seguenti accorgimenti: saturare gli aggregati e bagnare le casseforme, nella stagione estiva mantenere bassa la tempe¬ratura del calcestruzzo e in quella invernale evitare un eccessivo riscaldamento degli ingredienti, erigere frangivento e proteggere i getti dal sole, salvaguardare il manufatto durante le prime ore dal getto con teli umidi o con additivi stagionanti.

Lavorazione in clima caldo

La temperatura elevata agisce anche sulla velocità di presa e sul ritiro a indurimento avvenuto. La maggiore velocità di presa condiziona in modo determinante i tempi di trasporto, di posa in opera e di compattazione. Il ritiro dell’impasto indurito sarà maggiore, perché tale è stata la domanda di acqua, a parità di consistenza, al momento del betonaggio. Poiché questo ritiro si manifesta in una fase nella quale la resistenza meccanica è ancora modesta, è molto probabile che si abbiano formazione di fessure. Gli inconvenienti menzionati crescono d’intensità se alla temperatura elevata si aggiungono bassa umidità e una ventilazione quantunque moderata. Una tale combinazione di eventi è, tra tutte, la più sfavorevole.

Esistono alcuni accorgimenti pratici che possono essere presi in considerazione. Il tenore in cemento deve essere tenuto il più basso possibile, affinché il calore d’idratazione non aggravi ulteriormente l’effetto della temperatura elevata. La temperatura stessa del calcestruzzo fresco può essere diminuita pre-raffreddando uno o più componenti del calcestruzzo. Si può usare, per esempio, ghiaccio in sostituzione di parte dell’acqua d’impasto (accertandosi della sua completa fusione prima del termine del mescolamento). Il raffreddamento degli aggregati è più difficoltoso. L’impiego di cemento caldo può non essere evitato. Semplici calcoli permettono di stabilire che l’utilizzo di un cemento a 80 °C comporta un aumento della temperatura del calcestruzzo di 10-15 °C.

Produzione dell’impasto

Gli ingredienti, dosati secondo i rapporti di composizione prescelti, sono mescolati in betoniera in modo da amalgamare gli aggregati nella pasta e disperdere in modo omogeneo i diversi componenti. La durata della miscelazione dipende dal volume d’impasto, dalla sua consistenza, dal tipo di aggregati e dalle caratteristiche operative della macchina. Non è quindi possibile stabilire regole precise. Di solito la soluzione ottimale si trova controllando in cantiere le prestazioni del mescolatore nella particolare situazione d’impiego. Il controllo si effettua mediante prove di uniformità.

Stagionatura (curing)

Al fine di ottenere un buon calcestruzzo, una volta effettuato il getto, è necessario che esso sia “stagionato” in adatte condizioni, nel periodo iniziale. S’intende per stagionatura l’insieme di quelle procedure che assicurano un’adeguata idratazione del cemento e che consistono nel controllo della temperatura e dell’umidità del calcestruzzo. La necessità di stagionare in modo idoneo i getti freschi appare evidente dal fatto che l’idratazione del cemento può avvenire solo nell’ambito della fase acquosa che riempie i pori capillari. È necessario, pertanto, evitare Ae questi si svuotino per evaporazione verso l’esterno. Se vi è un apporto di acqua dall’esterno non vi sono rischi in questo senso.

L’evaporazione dell’acqua dai getti freschi dipende dalla temperatura, dall’umidità relativa dell’ambiente e dalla velocità del vento. Gli accorgimenti adottati per ottenere la migliore stagionatura sono diversi, secondo il tipo di cantiere, il tipo di getto e il clima in cui esso è effettuato.

Se il getto ha un rapporto superficie/volume modesto, si può procedere a una periodica bagnatura. Vaste superfici esposte, come manti stradali o solai, presentano maggiori problemi. Al fine di prevenire il ritiro plastico, deve essere impedita la perdita di acqua anche prima dell’inizio della presa. Dopo la presa, l’ambiente può essere mantenuto umido irrorando in continuazione la superficie o coprendo la superficie stessa con sabbia bagnata, segatura, paglia. Esistono oggi mezzi di stagionatura più progrediti e di più facile applicazione, costituiti da vernici isolanti applicabili a spruzzo o a pennello.

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