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Calcestruzzo: gli aggregati

Il calcestruzzo, nella sua essenza, è costituito da due componenti: il lapideo (aggregato) e il collante che ricopre, avvolge e collega i singoli elementi lapidei. Il componente lapideo, spesso chiamato, erroneamente, inerte invece che aggregato, comprende a sua volta almeno due ingredienti: la sabbia e la ghiaia o pietrisco. Anche il componente collante, detto pasta o matrice cementizia, comprende almeno due ingredienti: acqua e legante.

Il calcestruzzo indurito è il materiale da costruzione che costituisce le strutture reali (travi, pilastri, solai ecc.) esposte in servizio alle sollecitazioni di carattere statico o dinamico e a quelle chimico-fisiche dell’ambiente (pioggia, gelo, mare ecc.). In realtà, nella maggioranza delle strutture reali, all’interno del calcestruzzo sono annegati rinforzi metallici (armature) predisposti dentro le casseforti prima del getto di calcestruzzo fresco. Pertanto, il materiale impiegato nelle costruzioni – calcestruzzo armato, c.a. – è un materiale doppiamente composito, costituito da elementi lapidei dispersi in una matrice cementizia rinforzato da armature di acciaio, la cui funzione è di sopperire alle caratteristiche deficitarie del calcestruzzo.

Ancora maggiore è il beneficio che deriva alla struttura dalla presenza delle armature metalliche quando queste sono pretese prima del getto del calcestruzzo e poi allentate, quando il calcestruzzo è indurito. In questo caso, i ferri di armatura sono ostacolati, nel riassumere la lunghezza originale, dall’aderenza al calcestruzzo indurito e rimangono in tensione, mentre il calcestruzzo resta in uno stato di compressione (calcestruzzo armato precompresso, c.a.p.). Questo stato di coazione (di trazione dei ferri e di compressione del calcestruzzo) consente alla struttura di sopportare carichi flessionali molto maggiori prima di arrivare al collasso.

La resistenza meccanica (R,, R, o Rf) – rispettivamente a compressione, a trazione o a flessione – è quel valore della tensione (a) che provoca la fessurazione che precede il collasso della struttura o del provino campione. In generale, il valore di R può variare, secondo le qualità del calcestruzzo, da 15 a 80 MPa, e può raggiungere, in taluni conglomerati speciali, anche valori molto maggiori, fino a oltre 200 MPa. Il valore di Rr si attesta su valori compresi fra 1 e 4 MPa, mentre il valore di Rf in genere varia tra 2 e 6 MPa, ma può raggiungere valori fino a 40-60 MPa in alcuni conglomerati speciali.

La presenza delle armature metalliche se da una parte migliora le prestazioni meccaniche della struttura, dall’altra è essa stessa fonte delle maggiori preoccupazioni per quanto riguarda la durabilità delle opere, cioè la capacità di garantire la funzionalità delle strutture per la vita di servizio attesa.

Gli ingredienti per confezionare un calcestruzzo – aggregati, cemento, acqua – sono largamente disponibili. La differenza tra un calcestruzzo mediocre e un calcestruzzo di buona qualità non sta tanto negli ingredienti, ma piuttosto nel loro proporzionamento, nella cura posta nel getto, nella compattazione e nella stagionatura, cioè conservazione dopo la rimozione delle casseforme, delle strutture in ambiente umido per un limitato ma essenziale periodo (3-10 giorni).

Gli aggregati, così come i cementi e gli additivi, devono essere marcati CE in ottemperanza alla legislazione vigente, ai sensi della Direttiva UE sui prodotti da costruzione (89/106/CEE).

In un calcestruzzo gli aggregati rappresentano lo scheletro, la struttura portante, mentre la pasta di cemento rappresenta il collante. Ne consegue che questa struttura portante – il cosiddetto misto granulometrico – deve essere la più compatta possibile, in altri termini costituita da tutti gli elementi di vario diametro, da quello massimo a quello prossimo a zero, opportunamente assortiti. Si comprende quindi che il proporzionamento delle varie frazioni del misto granulometrico è un fattore di grande importanza ai fini delle caratteristiche del calcestruzzo risultante. Quando i singoli granuli hanno dimensione che non supera i 4-5 mm l’aggregato prende il nome di sabbia. Se i granuli hanno dimensione maggiore prendono il nome di aggregato grosso. Quest’ultimo è chiamato ghiaia se di origine alluvionale e di forma tondeggiante, pietrisco se proveniente dalla frantumazione della roccia. La sabbia è ottenuta a partire da rocce massive mediante frantumazione, macinazione e classificazione. In alternativa, nei giacimenti di origine alluvionale, la sabbia è presente già nella pezzatura adeguata.

Caratteristiche fisiche

Porosità

La porosità dell’aggregato (espressa come percentuale di volume occupato dai pori rispetto al volume totale del granulo) può variare entro un ampio intervallo, da qualche decimo fino a 30-40% del volume totale, secondo il tipo di roccia. La porosità è costituita non solo dai pori intercomunicanti tra loro e la superficie (porosità aperta), ma anche da quelli isolati dalla superficie (porosità chiusa). Mentre le proprietà meccaniche dell’aggregato (e indirettamente quelle del calcestruzzo indurito) sono influenzate negativamente sia dalla porosità aperta sia da quella chiusa, la gelività e la permeabilità solo dalla porosità aperta.

La porosità aperta può essere misurata per assorbimento di acqua fino a saturazione dell’aggregato. Quella chiusa è ottenuta per differenza tra la massa volumica dell’aggregato tal quale e quella dello stesso aggregato macinato e quindi privo di porosità chiusa.
Per non deprimere la resistenza meccanica la porosità complessiva (aperta e chiusa) dell’aggregato dovrebbe essere inferiore al 10%.

Massa volumica (detta in passato peso specifico)

La massa volumica – peso dell’unità di volume – per gli aggregati, in genere, è espressa in Mg/m3 (Mg = tonnellata).
La misura della massa volumica apparente, comprendente i pori chiusi ma non quelli aperti, si effettua sul materiale essiccato con il metodo picnometrico e con quello della bilancia idrostatica.
È di fondamentale importanza per il calcolo della miscela del calcestruzzo (mix design) la massa volumica nello stato di s.s.a. (saturo con superficie asciutta cioè privo di umidità sulla superficie) il cui valore si determina con la porosità aperta piena di acqua. Con la ghiaia e il pietrisco la valutazione dello stato s.s.a è visuale: il materiale lapideo, liberato dall’eventuale presenza di polveri e d’incrostazioni friabili, è portato a umidità totale zero mediante essiccazione in stufa a 105 °C. Poi è pesato e immerso in acqua per 24 ore alla temperatura ambiente. Allo scadere del tempo di prova, l’aggregato è rimosso e tamponato con un panno assorbente fin quando, a giudizio dell’operatore, la superficie visibile è ritenuta asciutta. Poi di nuovo pesato. Poiché gli elementi grossi essiccano prima di quelli piccoli, è opportuno operare su frazioni granulometriche ristrette.

Per la sabbia, la condizione s.s.a. è individuata mediante una prova di slump. Il materiale, saturato come nel caso precedente, è disposto in strato sottile su di un piano e lasciato asciugare, rimescolandolo periodicamente. Dopo un certo tempo, si riempie uno stampo tronco-conico di dimensioni standard, poggiato sulla base maggiore, e si compatta secondo prefissate modalità. Poi si toglie cautamente lo stampo: se vi è umidità il cono di sabbia mantiene la forma, cioè resiste al proprio peso, altrimenti crolla; nel primo caso la prova si ripete dopo un ulteriore periodo di essiccamento.

La maggior parte degli aggregati normali ha una massa volumica apparente compresa tra 2,4 e 3,0 Mg/m3, con valori più comuni tra 2,6 e 2,7 Mg/m3. Per gli aggregati leggeri la massa volumica può scendere intorno a 1,4 mentre per quelli pesanti variare tra 3,8 e 5,2 Mg/m3.

Morfologia

I fattori morfologici che caratterizzano un aggregato sono: la forma, la tessitura superficiale e l’angolarità. L’insieme di questi fattori contribuisce a determinare la disposizione assunta dalle particelle sotto l’azione delle forze esterne – gravità e vibrazione – e contribuiscono a determinare il grado di addensamento della struttura nello stato compattato o, in altri termini, il contenuto di vuoti dell’insieme. Nel calcestruzzo i vuoti della struttura di aggregazione sono riempiti dalla pasta legante e il loro volume è di preminente interesse in relazione alle caratteristiche dell’impasto fresco e indurito.

Forma e tessitura superficiale. La forma e la tessitura superficiale dell’aggregato hanno effetto sul comportamento del calcestruzzo fresco. La forma di una particella si valuta sulla base delle caratteristiche di sfericità, proprietà che dipende dal rapporto area/volume della particella ed è, quindi, in relazione alla lunghezza relativa degli assi principali ovvero al rapporto tra il volume della particella e quello della sfera circoscritta.
Aggregati equidimensionali, rispetto ad aggregati piatti o allungati, favoriscono la scorrevolezza del calcestruzzo e, a parità di volume, a causa della loro minore area superficiale, per essere ricoperti richiedono un minor volume di pasta cementizia onde produrre un calcestruzzo di pari caratteristiche. Ciò si traduce in una riduzione dei costi e in una maggiore stabilità dimensionale. Se gli aggregati piatti nel corso della posa in opera si dispongono con la faccia maggiore orizzontalmente, l’acqua di bleeding e le bolle di aria restano imprigionate sotto l’aggregato e, creando una porosità grossolana, impediscono l’adeguato sviluppo del giunto adesivo con la pasta. Per i motivi indicati si ritiene conveniente limitare il contenuto di elementi piatti e allungati intorno al 15-25%.
L’angolarità (stato di usura degli spigoli dei granuli dell’aggregato) ha influenza non trascurabile sulla scorrevolezza del calcestruzzo fresco e, quindi, sulle proprietà meccaniche di quello indurito. Più gli spigoli sono vivi, maggiore cioè è l’angolarità, più elevata è la richiesta di acqua a pari scorrevolezza dell’impasto e, quindi, minore è la resistenza meccanica a compressione. Tuttavia, aggregati di forma irregolare, come quelli di frantumazione, aderiscono meglio alla matrice cementizia e possono presentare più alte resistenze meccaniche a flessione e a trazione.
Anche la tessitura superficiale degli aggregati, cioè il grado di ondulosità e di rugosità, influenza le proprietà del calcestruzzo fresco e indurito. Un aggregato liscio e non ondulato favorisce la scorrevolezza del calcestruzzo fresco ma fa diminuire l’adesione tra pasta e aggregato.

Caratteristiche meccaniche

In genere, la resistenza meccanica di un calcestruzzo non può essere superiore a quella degli aggregati che costituiscono la maggior parte del suo volume. È difficile tuttavia valutare la resistenza alla frattura degli aggregati come tali. Pertanto, si effettuano valutazioni per via indiretta. È prassi comune ricorrere al controllo delle caratteristiche di resistenza meccanica dell’aggregato studiando il comportamento di provini di calcestruzzo confezionati con gli aggregati in esame e, per confronto, provini di calcestruzzo preparati con aggregati di comprovata idoneità. Per una corretta valutazione dei risultati è necessario che le differenze tra i due impasti siano limitate alla sola natura dell’aggregato impiegato, con tutti gli altri fattori (granulometria, forma delle particelle, rapporti di composizione, tipo di cemento, modalità di preparazione e di stagionatura) identici.

L’insufficiente resistenza degli aggregati è un caso limite. In genere, la resistenza a compressione degli aggregati è intorno a 2000 MPa anche se molti aggregati, pur essendo considerati di buona qualità, possono scendere a 800 MPa. Per calcestruzzi destinati a opere particolari, per esempio a pavimentazioni, sono da considerare altre proprietà meccaniche. La resistenza all’urto può essere determinata su campioni di roccia misurando l’altezza minima da cui deve essere lasciato cadere un peso standard per provocarne la frattura. La resistenza all’usura è valutata operando con un mezzo abrasivo sulla roccia in esame. Nella prova Los Angeles, la resistenza all’usura è determinata come percentuale di materiale che si è frantumato, attraverso un’analisi granulometrica.

Idoneità chimica degli aggregati

Non tutti gli aggregati dal punto di vista chimico sono idonei alla produzione del calcestruzzo. Esistono alcuni requisiti fondamentali in assenza dei quali il calcestruzzo rischia di presentare resistenze meccaniche inferiori alle attese o di degradarsi anche se esposto in ambienti non aggressivi. Questi requisiti prevedono l’assenza, innanzitutto, di sostanze nocive per la durabilità del calcestruzzo, come cloruri, solfati, silice alcali-reattiva, limi argillosi e sostanze organiche.

Le vigenti norme EN-UNI stabiliscono i limiti per l’accettazione degli aggregati e illustrano i metodi di prova per la determinazione di questi limiti. Queste prove devono essere effettuate una tantum su materiali impiegati per la prima volta come aggregati per calcestruzzo e, accertatane l’idoneità, non è necessario ripetere sistematicamente queste prove, salvo che non esistano motivi per sospettare che sia intervenuta qualche variazione nella fonte di approvvigionamento.

Cloruri

Il limite del contenuto di cloruri negli aggregati è correlato con il rischio di corrosione dei ferri di armatura. Nei calcestruzzi privi di armature metalliche la presenza di cloruri nell’aggregato non comporta alcun rischio di degrado, ma solo un danno di carattere estetico per la formazione di depositi salini (efflorescenze) sulla superficie dei manufatti, esposti a cicli alternati di bagnatura e asciugamento. Gli aggregati inquinati da cloruri sono identificabili con la sabbia del mare. Questa può essere impiegata come frazione fine di un misto per calcestruzzo, purché i cloruri siano rimossi mediante trattamento in un impianto di lavaggio.

Solfati solubili in acido

Il solfato solubile in acido può essere presente nell’aggregato in forma di gesso bi-idrato o anidrite. La presenza di solfato nell’aggregato, oltre un certo limite, comporta il rischio di disgregazioni espansive a causa della formazione di ettringite che avviene con grande aumento di volume.

Solfuri di ferro

I solfuri di ferro (pirite, marcasite ecc.), presenti in molte rocce, per azione dell’ossigeno atmosferico e dell’idrossido di calcio, contenuto nella pasta di cemento, reagiscono formando idrossido di ferro. Se il manufatto è ben compattato, il fenomeno interessa soltanto gli strati in superficie perché l’ossigeno non penetra in profondità e intorno alla particella di solfuro compare una macchia bruna dovuta all’idrossido ferrico. Se, invece, l’ossigeno penetra in profondità, è possibile che si abbia distacco di materiale perché la reazione avviene con aumento di volume.

Silice alcali-reattiva

Alcune forme di silice presenti nell’aggregato – quelle amorfe o mal cristallizzate – possono reagire con gli alcali del cemento (sodio e potassio) per formare silicati alcalini idrati, espansivi, molto dirompenti nei confronti della circostante matrice cementizia. Questa reazione, nota come ASR (Alcali-Silica Reaction), si manifesta attraverso un reticolo di fessure o espulsioni localizzate di malta (pop-out) che possono pregiudicare la durabilità delle opere in calcestruzzo. Il processo di espansione e fessurazione avviene piuttosto lentamente e non è raro che esso si manifesti dopo uno o più anni dalla posa in opera. La reazione alcali-silice può decorrere solo in presenza di umidità e avviene, quindi, in genere in ambienti esterni, ma anche in ambienti chiusi esposti alla risalita capillare di acqua dal terreno.
Utilizzando aggregati di non consolidate esperienze, per la difficoltà di diagnosticare la reattività o meno della silice, il miglior modo per affrontare il problema è di prevenire il fenomeno impiegando cementi di altoforno a elevato contenuto di loppa, in presenza dei quali la reazione non avviene.

Argilla e altri materiali fini

L’argilla, se presente, forma una copertura superficiale sui granuli dell’aggregato influenzandone in modo notevole l’adesione alla pasta di cemento. Oltre l’argilla, possono avere effetti analoghi il limo e le polveri derivate dalla frantumazione delle rocce. Se il processo di frantumazione è condotto in modo corretto, la polvere è eliminata per lavaggio. Se i granuli di argilla risultano però fortemente legati agli aggregati, e non possono essere rimossi con facilità, possono anche essere trascurati. In ogni caso la loro quantità deve essere contenuta a livelli bassi poiché, a causa della loro elevata area superficiale specifica, aumentano la quantità di acqua necessaria a bagnare la superficie dell’aggregato. La determinazione della quantità di argilla, limo o polvere fine contenuta negli aggregati è di solito effettuata con metodi basati sulla velocità di sedimentazione delle particelle. Il limo e le particelle fini sedimentano più lentamente e si depositano sopra l’aggregato più grosso che sedimenta quasi subito. La loro quantità è espressa dall’altezza dello strato depositato rispetto all’altezza degli aggregati sottostanti.

Sostanze organiche

Un aggregato può avere ottimi requisiti dal punto di vista meccanico e morfologico ma essere inadatto alla confezione di calcestruzzi, nel caso contenga impurezze organiche capaci di modificare in modo incontrollato i processi d’idratazione del cemento. In genere, esse inducono un rallentamento dell’idratazione, con conseguente ritardo nello sviluppo delle resistenze meccaniche del calcestruzzo indurito. Queste sostanze organiche sono presenti, normalmente, sotto forma di humus. La loro presenza è più frequente nelle sabbie rispetto agli aggregati grossi.
Non tutte le sostanze organiche sono nocive e il metodo migliore è, senz’altro, quello di confezionare calcestruzzi di prova per valutarne l’effetto. È tuttavia sufficiente accertare in modo rapido – mediante una prova colorimetrica- la presenza, o meno, di sostanze organiche e procedere a prove successive solo nel caso in cui esse superino una determinata concentrazione.

Aggregati leggeri

Il termine di aggregato leggero comprende gli aggregati che hanno una massa volumica compresa tra 500 e 1500 kg/m3 e, quindi, inferiore a quella degli aggregati impiegati nel calcestruzzo ordinario. La caratteristica degli aggregati leggeri è la loro elevata porosità che è responsabile della bassa massa volumica. È tuttavia necessario che l’aggregato possegga una resistenza meccanica la più alta possibile. L’aggregato leggero ideale dovrebbe essere costituito da granuli tondeggianti, porosi all’interno e impermeabili all’esterno. Queste caratteristiche sono riscontrabili solo in alcuni aggregati leggeri preparati artificialmente, quali per esempio l’argilla espansa.

Argilla espansa

Questo materiale è prodotto mediante cottura di particolari argille. In un forno rotante, incontrando temperature sempre maggiori (da 150 °C fino a circa 1200 °C), per l’azione combinata dei gas che si sviluppano all’interno dell’argilla (CO2, vapor acqueo ecc.) e del movimento rotatorio del forno, l’argilla espande, nella fase quasi fluida, in forma di palline rotondeggianti. Il materiale incandescente in uscita dal forno attraversa un “letto fluido”, costituito da una corrente di aria che, oltre a raffreddare l’argilla espansa, provoca la clinkerizzazione dell’involucro. È in questo momento che si completa la caratteristica fondamentale del materiale: un nucleo interno poroso, costituito da micro-cavità contenenti aria che rendono l’aggregato leggero, legato a un involucro esterno vetroso che garantisce elevati valori di resistenza meccanica.

Altri aggregati leggeri

Con procedimenti analoghi a quello ora illustrato, è possibile ottenere aggregati leggeri anche con materiali non argillosi quali, per esempio, la perlite e la vermiculite.
Un altro tipo di aggregato leggero è prodotto spruzzando una piccola quantità di acqua sulla loppa fusa in uscita dall’altoforno. Il vapor acqueo che si genera fa rigonfiare la loppa ancora plastica che, raffreddandosi, dà luogo a un materiale poroso di aspetto molto simile a quello della pomice.
Tra gli aggregati leggeri è ancora da ricordare il polistirolo espanso per il basso peso specifico del calcestruzzo che si può confezionare con esso.
Oltre agli aggregati sopra menzionati, tutti prodotti artificiali, è disponibile in natura una vasta gamma di aggregati leggeri quali pomice, tufo, terra di diatomee.

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