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Calcestruzzo: il cemento

I cementi idraulici sono materiali di natura inorganica, finemente macinati, che hanno la capacità di reagire con l’acqua e indurire anche in ambiente subacqueo, assumendo l’aspetto e le proprietà dei materiali lapidei. Il cemento è il costituente essenziale di un calcestruzzo, ma non costituisce il solo elemento che ne determini le caratteristiche meccaniche. Le prestazioni del calcestruzzo dipendono anche, ma non solo, dal cemento prescelto e, quindi, soltanto un’oculata composizione della miscela, una sua corretta messa in opera e una maturazione accurata possono garantire, in termini sia tecnici sia economici, l’affidabilità e la durevolezza di una costruzione.

Costituenti dei cementi

Tutti i cementi comuni contengono clinker di portland, che è il costituente idraulico per eccellenza, e gesso, come regolatore di presa. A essi possono essere associati altri materiali inorganici, naturali o artificiali, che impartiscono caratteristiche peculiari. Tali materiali appartengono a tre grandi categorie: i materiali a comportamento pozzolanico, le loppe basiche siderurgiche e i calcari.

Materiali pozzolanici

Il termine pozzolana deriva da depositi vulcanici incoerenti, che si trovano nel distretto eruttivo flegreo (Pozzuoli, presso Napoli). Nell’industria si usa per designare tutti i materiali, sia naturali sia artificiali, atti a reagire e indurire, a temperatura ambiente, una volta impastati con acqua e calce o con prodotti che, come il clinker portland, reagendo con l’acqua, liberano idrossido di calcio. Nella reazione con la calce, la pozzolana produce silicati e alluminati di calcio idrati simili a quelli che si ottengono nella idratazione del cemento portland. La capacità di reagire, in presenza di acqua, con l’idrossido di calcio è definita con l’espressione “attività pozzolanica”. La pozzolana non è di per sé un legante, perché mescolata con sola acqua dà luogo a un impasto di consistenza più o meno plastica che non è però in grado d’indurire.

Accanto alle pozzolane naturali trovano largo impiego anche le artificiali, alcune delle quali, come le argille cotte, in uso da millenni. In tempi più recenti, il carattere pozzolanico è stato riscontrato nelle ceneri volanti (fly ash), cioè nelle polveri che si ottengono nell’abbattimento dei fumi generati dalla combustione del carbone fossile negli impianti di produzione di energia elettrica. La microsilice (silica fume), sottoprodotto della produzione del silicio e delle ferroleghe, è stata utilizzata nell’industria del cemento in tempi abbastanza recenti. A causa della sua elevata superficie specifica (25000 m2 /kg), l’aggiunta di microsilice al cemento aumenta di molto la richiesta di acqua. A ciò si ovvia impiegando additivi riduttori di acqua.

Loppe di altoforno granulate

Le loppe di altoforno sono scorie che si ottengono nella produzione della ghisa primaria negli altiforni. Quelle utilizzabili per la produzione dei cementi devono essere basiche. Inoltre, la loppa fusa deve essere raffreddata con rapidità facendola cadere in grandi masse di acqua, oppure spruzzandola con rilevanti quantità di aria e acqua sotto pressione. L’obiettivo è in ogni caso quello di raffreddare bruscamente la loppa fusa in modo da prevenire al massimo il processo di cristallizzazione del liquido e di favorire, invece, la solidificazione sotto forma di vetro. Il materiale raffreddato bruscamente si presenta sotto forma di granuli vetrosi e prende perciò il nome di loppa granulata.

La loppa granulata di altoforno, macinata a finezza cemento e mescolata con acqua, indurisce molto lentamente. Se, invece, la loppa è impastata con acqua in presenza di piccole quantità di calce o gesso, o di cemento portland, che nell’idratazione libera idrossido di calcio, o di altre sostanze quali l’idrossido di sodio o di potassio, indurisce abbastanza vecemente, comportandosi come un vero e proprio legante idraulico. La loppa si differenzia quindi dalla pozzolana che è capace, invece, d’indurire solo in presenza di quantità rilevanti di calce idrata con la quale si combina.

Calcare

La presenza del calcare, finemente macinato, nel cemento portland è una pratica usata per migliorare alcune caratteristiche del cemento stesso e, anche, per ridurre i costi energetici nella produzione del cemento. Il calcare, considerato in passato inerte nei riguardi del cemento, mostra invece una certa reattività nei confronti degli alluminati di calcio quantunque i carboalluminati di calcio di neoformazione non possiedano proprietà cementanti. Tuttavia, il calcare giuoca un ruolo non trascurabile nel determinare le proprietà del cemento. Esso, infatti, agisce da coadiuvante di macinazione e ottimizza la granulometria del cemento con conseguente accelerazione dell’indurimento. Per tale motivo la sostituzione del clinker con calcare macinato non può avvenire in cantiere. Non tutti i calcari sono idonei all’impiego come costituenti dei cementi. La norma UNI EN fissa limiti di composizione per garantire la qualità del materiale.

Gesso

L’azione fondamentale del gesso (solfato di calcio biidrato) riguarda la regolazione della presa. La quantità di gesso presente influenza anche altre proprietà dei cementi, come la resistenza meccanica, il calore d’idratazione, la durabilità ecc.
Un eccesso di gesso può provocare espansione della pasta di cemento per formazione di ettringite (primaria). Per questo motivo il suo contenuto, espresso come S03, è limitato dalle norme.

Filler

Con questo termine inglese si definisce un costituente impiegato in piccola quantità nel cemento (max 5% in peso) per migliorare alcune proprietà tecnologiche, quali la lavorabilità o la ritenzione di acqua degli impasti, ovvero per legalizzare piccole adulterazioni.

Additivi per cemento

Gli additivi impiegati nella produzione del cemento (max 1%) sono prodotti che migliorano il rendimento energetico in alcune fasi della produzione.

La finezza di macinazione

L’espressione finezza di macinazione, usata nella tecnologia del cemento, indica in modo generico lo stato di maggiore o minore suddivisione del clinker in minute particelle.
Considerando una polvere nel suo insieme, i due parametri più importanti per definire lo stato di suddivisione sono l’area superficiale e la distribuzione granulometrica. Per area superficiale si intende la superficie totale della fase solida che può venire a contatto con una fase fluida (per esempio aria o acqua); in pratica cioè la somma della superficie esterna di tutte le particelle di cui la polvere è costituita. La distribuzione granulometrica riguarda invece il modo in cui sono distribuite le dimensioni delle particelle.

Un processo di macinazione comporta sempre un aumento dell’area superficiale. Nel cemento le particelle più grosse danno un contributo del tutto trascurabile alla superficie rispetto alle particelle più fini. La superficie specifica di un normale cemento portland è in media 350 m2/kg di cui circa la metà è data dalle particelle inferiori a 1,5 µm che rappresentano, in peso, meno del 3%. Appare evidente l’importanza delle frazioni fini, anche se la loro percentuale in peso è molto modesta.

La determinazione dell’area superficiale di una polvere è eseguita di solito con metodi indiretti. In virtù della sua semplicità, per la misura della finezza dei cementi il più diffuso è il metodo Blaine. Esso si basa sulla permeabilità ai fluidi di una pastiglia di cemento con porosità standard.

In un processo di macinazione di un materiale solido fragile non si ottiene una polvere monodispersa. La descrizione completa della situazione si ottiene però tracciando la curva di distribuzione granulometrica. La cura riporta, in ascissa, le dimensioni delle particelle e in ordinata il numero (o la percentuale) di particelle aventi una determinata dimensione. Ogni polvere è caratterizzata da una propria curva di distribuzione determinata dalle caratteristiche sia del materiale e sia dall’impianto di macinazione.

Esistono diversi metodi per determinare la curva granulometrica di una polvere. Alcuni semplicissimi e altri molto sofisticati. Fra i più semplici, si ricordano la setacciatura con microsetacci irrorati con un liquido inerte, la misura diretta delle particelle al microscopio, i metodi basati sulla velocità di sedimentazione e, infine, i metodi basati sulla dispersione di un fascio di luce laser causata dalle particelle che lo attraversano.

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